La relazione con le materie prime presenti sul territorio del Tigullio ha avuto un ruolo fondamentale per le popolazioni locali fin dai tempi più antichi, come testimonia il panorama dei siti archeologici e una tradizione economica talvolta ancora vitale.
La Liguria Orientale è ancora sede di attività nel settore estrattivo, legata ad un’industria ardesiaca nota ed apprezzata a livello mondiale. Di dimensione minore, ma non certo dal punto di vista storico e scientifico, le attività legate ai giacimenti di manganese (Miniera di Gambatesa), di Portoro e di Rosso di Levanto (Riviera Spezzina e Portovenere) e il ricordo dell’intensa attività collegata al giacimento di solfuri misti di Libiola, dismessa negli anni Sessanta.
Le miniere di Gambatesa (Ne)
http://www.minieragambatesa.it/
Le attività estrattive hanno profondamente influenzato la storia sociale ed economica della Val Graveglia ed hanno rappresentato, per lunghi periodi, la principale fonte di lavoro di tutta l’area.
L’intera vallata è caratterizzata da numerose attività estrattive, differenziate per tipologia dei materiali estratti, per tipo di coltivazione, per dimensioni e per importanza economica: a questo proposito la Val Graveglia mantiene un vero e proprio primato per quanto riguarda la frequenza di cave in relazione alla sua superficie, dal punto di vista sia quantitativo, sia della varietà dei materiali estratti.
Le miniere di manganese e, in misura minore quelle di solfuri, hanno avuto una grande importanza nell’ultimo secolo. Attualmente molte delle attività sono state abbandonate, sia per l’esaurimento dei giacimenti coltivati sia per la forte concorrenza dei paesi in via di sviluppo, dove i costi di produzione e i vincoli ambientali sono inferiori.
In Val Graveglia e nelle aree limitrofe sono presenti 14 giacimenti di manganese di interesse economico, distribuiti in circa 60 kmq. L’insieme dei siti minerari della valle, la cui prima concessione è datata al 1887, ha fornito dal 1900 al 1980 oltre 1.500.000 di tonnellate di materiale mercantile, con un massimo di produzione nel decennio compreso tra il 1936 e il 1946 (coincidente anche con un massimo di 600 operai impiegati). Nel 1970 le 50.000 tonnellate di materiale estratto costituivano l’intero prodotto italiano. Nel 1974 la società concessionaria, l’Italsider, chiuse le miniere e rinunciò alla concessione, poi rilevata dalla SIL.MA srl, che riprese i lavori, sebbene in poche miniere.
Oggi l’attività estrattiva è in corso soltanto nella miniera di Gambatesa, nel Comune di Ne, peraltro parzialmente convertita a museo minerario. Gran parte del minerale estratto viene ancora oggi trasportato al vicino impianto di Pian di Fieno per la frantumazione, il lavaggio e la selezione. E’ anche presente, sebbene attualmente inattivo, un impianto per l’arricchimento relativo del tenore in manganese.
Il 95% del manganese estratto a scala mondiale viene utilizzato nella produzione degli acciai; fra gli utilizzi minori, la produzione di elettrodi per saldatura, cui è destinato esclusivamente il manganese estratto oggi a Gambatesa.
Val Fontanabuona: la valle dell’ardesia
http://www.fontanabuona.ge.it/
L’ardesia è una roccia metamorfica di origine sedimentaria, caratterizzata da una fissilità molto marcata (la fissilità è la proprietà della roccia di dividersi facilmente secondo piani paralleli, in modo da formare lastre più o meno sottili).
Esistono numerosi documenti a testimoniare che la lavagna della Val Fontanabuona veniva adoperata abitualmente in edilizia intorno all’XI-XII secolo ed anzi, si è sicuri che all’epoca si fosse ormai sviluppata una vera e propria attività estrattiva organizzata, certo non su scala industriale in senso stretto ma, per lo meno, di portata ultralocale.
Le aree di estrazione tradizionali erano sostanzialmente due, alle estremità della vallata: le alture sovrastanti Recco e il Monte San Giacomo, nell’immediato entroterra di Lavagna.
La prima testimonianza di sicura datazione consiste in un documento, conservato all’Archivio di Stato di Savona, con cui il 23 dicembre 1176 i consoli della città e quelli di Recco notificavano il rinnovo di un antico accordo, secondo il quale i Recchesi avrebbero dovuto fornire ai Savonesi una parte degli abbadini (ossia le lastrine di ardesia utilizzate per la copertura dei tetti, come tegole) necessari alla copertura della loro chiesa di Santa Maria, in cambio di aiuto e protezione.
Lavagna è stata tradizionalmente il centro di raccolta e smistamento dell’ardesia ligure poiché, considerato che la rete stradale era disagevole e spesso poco sicura, il mare rimase la miglior via di trasporto disponibile fino agli ultimi decenni dell’Ottocento. Lavagna non ha mai avuto un porto commerciale, il che impedì l’uso di imbarcazioni di grande stazza: i prodotti ardesiaci venivano caricati sui leudi, scafi leggeri e di poco pescaggio, atti ad essere tirati in secca sull’arenile in caso di burrasca; di conseguenza, i limiti nella capacità di carico e nella possibilità di percorrenza obbligavano spesso ad operazioni di trasbordo su velieri presso scali intermedi, come Camogli. Il principale smistamento veniva però effettuato nel porto di Genova, dove gran parte delle ardesie stazionava prima di essere rivenduta dai compratori.
L’ardesia veniva portata sulla costa, all’imbarco,da donne portatrici chiamate camalle, che caricavano le lastre sulla testa, con la protezione di un fazzoletto arrotolato, e scendevano lungo i sentieri del Monte San Giacomo, camminando scalze per non scivolare e trasportando fino a 60 kg di ardesia per volta; effettuavano un viaggio al giorno d’inverno e fino a quattro d’estate. Quando le lastre erano troppo grandi, si riunivano in gruppi fino a sei portatrici, sincronizzando il passo e sostenendosi con le braccia. Lungo la via trovavano le pose, muretti a secco costruiti appositamente per loro, all’altezza giusta per permettere un breve riposo appoggiando il peso.
Altrettanto ingrato era il lavoro degli uomini, i cavatori, che estraevano la pietra in stretti pozzi, sostanzialmente da sotto i loro stessi piedi, per poi provvedere a spaccarla sul posto in lastre.
Intorno alla metà dell’Ottocento si cominciò a capire che era possibile trovare ardesia di migliore qualità e in quantitativi più ingenti all’interno della valle; lo sfruttamento di queste vene di pietra fu reso possibile dall’inizio dei lavori per l’apertura della strada carrozzabile di fondovalle, che si protrassero fino al 1928.
Come già accennato, la produzione prosegue fiorente, sia per l’edilizia (abbadini ed altri elementi architettonici, portanti o decorativi), sia nella produzione di oggettistica; un utilizzo particolare della pietra è poi emerso in tempi recenti: l’ardesia si è infatti rivelata il materiale ideale per la realizzazione dei tavoli da biliardo, che nascondono sotto i loro velluti verdi l’antico “pane nero che dorme” della gente della Fontanabuona.
Per ripercorrere la tradizione e i prodotti dell’attività estrattiva della Valle, è stato realizzato il percorso museale dell’Ecomuseo dell’Ardesia, a Orero e Cicagna.
L’estrazione del rame a Libiola (Sestri Levante)
Le più antiche coltivazioni datate archeologicamente sono quelle per l’estrazione della selce, o meglio del locale “diaspro”, a Lagorara nel Comune di Maissana e del rame nei due siti di Libiola, nell’entroterra di Sestri Levante, e Monte Loreto, presso Castiglione Chiavarese, per la cui vicenda archeologica si rimanda all’itinerario specifico.
Lo sfruttamento di quell’area è poi costantemente documentato in età più recente, dalla fine del Quattrocento (la famiglia Spinola ne ottenne la concessione nel 1479), fino agli anni Sessanta del Novecento. Le modalità di estrazione otto-novecentesche, con la creazione di ampie gallerie e la conseguente distruzione dei cunicoli antichi, ha reso purtroppo impossibile l’indagine delle diverse fasi di utilizzo delle miniere, dal Medioevo al Settecento.
L’interesse per la miniera, in età moderna, è invece interamente documentabile, a partire dagli incentivi venuti dall’amministrazione dei Savoia, attorno al 1840.
La produzione assunse caratteri via via più moderni e “industriali”, nel XIX secolo: alle artigianali “ramiere” liguri si sostituirono imponenti impianti di arricchimento e i minerali qui preselezionati presero la via dell’Inghilterra per ulteriori trattamenti. Un dato significativo: attorno al 1870 lavoravano a Libiola 130 minatori e 50 donne erano impiegate nella cernita del materiale.
L’attività proseguì fiorente lungo il primo trentennio del Novecento, per poi entrare in crisi nel secondo dopoguerra. La miniera chiuse nel 1955.
Bibliografia
G. Pipino, Gambatesa l’ultima miniera della Liguria, in «Rivista Mineralogica Italiana» (1984).
Ardesia. Materia, cultura, futuro, a cura di T. Mannoni, Genova 1995.
M. Del Soldato, Relazione inedita inserita in progetto relativo alla miniera di Libiola, committente Comunità Montana Val Petronio, 1996.
F. Faccini-P. Marescotti-A. Robbiano, La Val Graveglia, un tesoro geologico nell’Appennino Ligure, Genova 2000.